L’INCONTRO

È una fredda sera di aprile nell’alta valle del Weissach, sul confine alpino. La primavera tarda ad arrivare e sui prati, davanti al complesso dei Wallberg Apartments, c’è ancora la neve. Reither non è un tipo da inverno, ma l’autunno precedente ha liquidato la Reither-Verlag, la sua piccola casa editrice, e con il ricavato è riuscito a voltare le spalle alla metropoli e a trasferirsi in quell’appartamento con vista sui monti, dove intende godersi la pensione in solitudine.
In compagnia di una buona bottiglia di rosso pugliese, si appresta a leggere un libro senza titolo, quando avverte dei passi inquieti davanti alla porta di casa, come di qualcuno che cammini avanti e indietro, pensoso, prima di annunciarsi attraverso una scampanellata breve e decisa. Davanti allo zerbino, lì in piedi con un vestito estivo e un elegante paio di sandali verde menta, c’è una donna più giovane di lui, ma non drammaticamente più giovane. Ha gli occhi grigio azzurro, i capelli color guscio di pistacchio, il naso con le alette delicate e una bocca pallida e piena. È Leonie Palm, la presidentessa del circolo di lettura del complesso. Leonie aveva un negozio di cappelli in città, ma poiché non ci sono ormai più facce adatte a un cappello è stata costretta a chiudere. Ora si dedica alla scrittura, insieme alle lettrici del circolo. Scrivono tutte e da Reither vorrebbero un parere, che ascolti almeno una pagina e dica: Se ne potrebbe fare qualcosa. Oppure scuota la testa in segno di diniego, mettendo fine alle loro illusioni.
Reither fa accomodare Leonie, le versa da bere, le offre da fumare. Tra di loro scatta un’immediata sintonia, un’intesa così forte da portarli, contro ogni previsione, a partire in piena notte per raggiungere il lago Achensee e aspettare, sulle sue rive, che sorga il sole. Ma una volta in macchina, dopo aver scrostato la neve dai vetri e avviato il motore, Reither e Leonie decidono di proseguire oltre l’Achensee, giù nella valle dell’Inn, verso l’Italia, in un viaggio folle in cui nuove avventure e incontri – soprattutto quello con una bambina che non parla – faranno riemergere antichi tormenti: le perdite subite, il mancato ruolo di genitori, la paura di amare e di mettersi in gioco.
In un romanzo indimenticabile, vincitore del «Deutscher Buchpreis 2016», il più importante Premio letterario tedesco, Bodo Kirchhoff narra della possibilità dell’amore e, insieme, di una doppia impossibilità: l’impossibilità di abbandonarsi completamente all’altro e, insieme, di soccorrerlo senza esitazioni

dal risvolto di copertina

Non so voi, ma io sul comodino ho sempre più d’un libro che attende d’essere letto, ma anche quando mi decido e nel mucchio mi ritrovo tra le mie mani proprio quello non sempre scatta la scintilla, non sempre ho la voglia di proseguire e dopo poche pagine a malincuore lo richiudo. Già dalle prime frasi mi faccio un’idea, ma è il primo capitolo l’ago della bilancia. Sì insomma il confine tra prendere o lasciare è molto sottile, specie se è un libro – come in questo caso – che non ho scelto personalmente.

Ho fatto questa premessa perché L’incontro di Bodo Kirchhoff ha un inizio che non mi ha convinto per niente; la prima frase – 71 parole prima del punto – è tutt’altro che un modello di fluidità, facendo traballare da subito la scelta che avevo appena fatto.

Questo l’inizio incriminato:

Questa storia che, come si dice, gli strazia ancora il cuore, anche se lui non lo direbbe, tranne qui in via del tutto eccezionale, con cosa l’avrebbe cominciata? Forse con i passi davanti alla sua porta e il sospetto che non fossero nemmeno passi, ma qualcosa scaturito ancora una volta dall’irrequietezza che sentiva dentro da quando aveva smesso di risistemare il caos degli altri finché ne usciva un libro.

Tuttavia l’ho letto fino in fondo. Il libro è innanzitutto l’incontro tra un uomo e una donna.
Incontro che inizia nel modo più improbabile:

Mi dica, quant’è rimasta dietro la porta? Doveva chiederglielo, usarle questa piccola scortesia. Quanto? Be’, non ho guardato l’orologio. Però a un certo punto c’era anche lei dall’altra parte, ho sentito l’odore della sigaretta senza filtro. Perciò abbiamo esitato tutti e due. […]
Se mi facesse entrare potremmo fumarne una insieme. Anche se io ho smesso, da quando abito qui.
Allora faremmo meglio a lasciar perdere?
È la sua ultima parola?
Cosa vuole che ne sappia, disse Reither. Dall’altra parte non mi piacciono i dialoghi lunghi. Non mi piacciono nemmeno nei libri. Dimostrano una pigrizia a raccontare.
Ma io e lei qui non siamo in un libro. Siamo sulla porta di casa sua.
No, solo lei. Io sono dentro casa. A meno che lei non entri. E ce ne fumiamo una.

E sono proprio queste poche righe – alla fine del primo capitolo –  che mi hanno convinto a proseguire la lettura. Scritte bene e con la giusta dose d’ironia, che basterebbero semplicemente per quello che sono; ma c’è dell’altro. Quello che mi ha colpito e convinto è proprio la forte contraddizione – non so se voluta di Kirchhoff –  tra la prima frase del romanzo, mi ripeto tutt’altro che corta e scorrevole e quella del paragrafo finale che chiude il primo capitolo, in cui lo stesso Reither- il protagonista del libro – dichiara di non gradire i dialoghi lunghi.

La storia in sé è bella: due persone sole e segnate dalla vita che mollano tutto e partono insieme.
Chi non ha sognato almeno una volta nella vita di farlo? Incontrare una persona interessante e poi partire. Insieme. Mollare tutto e andare. Semplicemente andare, senza pensieri, né vincoli né obblighi.

Reither fece per aprire il volume, ma Palm pigiò il freno, sterzò verso destra e portò la macchina nella corsia di emergenza, frenò ulteriormente e si fermò così di colpo che lui finì con la fronte contro il parasole; spense il motore e accese le luci di emergenza. Per me possiamo anche chiuderla qui, gli disse. Come le viene in mente che io e lei ce ne staremmo dentro questa macchina a causa di un libro? Lo pensa sul serio? Si prese una sigaretta, prese anche l’accendino e si scostò un po’. Siamo qui a causa di persone che nella nostra vita non ci sono più o non ci sono mai state, disse, e Reither avrebbe voluto contraddirla, ma non sapendo cosa replicare si limitò a roteare le mani in un gesto dubbioso, finché lei gliele fermò abbassandogliele sul grembo. Chi  crede che siamo, noi due? La Palm lo disse senza alzare la voce, con la sigaretta vicino alla bocca. Due che sono andati in malora, lei con la sua casa editrice, Reither, e io con il negozio di cappelli. E non soltanto perché non ci sono più facce da cappello, ma perché alla gente i miei cappelli non servono più, così come non le servono più i suoi libri, perché sono anni che vuole altro, la gente, non cappelli fatti a mano o buoni libri, ecco la verità. E il piccolo libro auto pubblicato che ha in mano è una conseguenza di questa verità. Ma contiene anche qualcosa della mia. Sì, sarebbe bello che lei lo leggesse. Ma se lo rimette nel sacchetto va bene lo stesso. Perché è già bello che siamo qui in macchina di notte, da qualche parte davanti al crinale alpino, se non sbaglio a orientarmi, e senza sapere bene dove andare. Se lei la vede in un altro modo, può anche scendere subito. Oppure scendo io. Però mi tengo il suo giubbotto perché fa freddo: glielo rendo in seguito.
Non scende nessuno, disse Reither, nessuno, e risollevò le mani come per ripararsi da quel fiume di parole. E adesso per favore, andiamo via di qui, Leonie, che questo non è un parcheggio, e mi dica lei da che punto vuole che legga.

Tuttavia le perplessità di quella prima riga sono proseguite fino alla fine, e confermo che il libro di Kirchhoff ha una scrittura che ho fatto fatica a seguire.
Ma c’è dell’altro. Questo romanzo manca a mio parere di leggerezza. Mi ero illuso che il loro incontro, il loro viaggio, avrebbe potuto rasserenarli, facendogli vivere l’amore dell’ultimo treno. Quello che sboccia nella terza età.
Mi ero illuso in una semplice e bella storia d’amore.

Una storia semplice
Cielo senza nuvole
Un amore utile

(Per chi non le conoscesse sono parte della bellissima Stupido Hotel di Vasco Rossi)

Ma così come per la canzone – Questa felicità!! … DOV’E’?? – anche per Reither e Leonie il loro amore sarà una felicità irrisoria. Troppo forte il dolore intorno a loro per far finta di niente.
Perché Kirchhoff nel momento in cui decide di toccare temi sociali complessi come l’immigrazione – mettendo volutamente sotto gli occhi dei due protagonisti le tragedie di chi lotta quotidianamente per la sopravvivenza -, li carica di una moralità e di una responsabilità che non possono ignorare; distruggendo inevitabilmente la spensieratezza necessaria per fare sbocciare il loro amore.
In particolare saranno due gli incontri decisivi che faranno durante il viaggio: il primo con la ragazzina muta e vestita di stracci che scappa dalla polizia e in cui Leonie rivede sua figlia; il secondo con un giovane profugo nigeriano, con moglie e neonato, che aiuterà Reither.

E a me dispiace se pensate che sono egoista e superficiale o che non abbia a cuore il tema dell’immigrazione, ma mi ripeto facevo il tifo per:

Una storia semplice
Cielo senza nuvole

   Che poi, per onestà di cronaca, era Reither quello che tra i due protagonisti la pensava un po’ come me:

Dalle dei soldi e vedrai che se ne va. Si può sapere che vuoi da lei, eh? Che vuoi? Reither fece un passo indietro, guardò il cielo, levando un muto: Basta, per Dio… […]
Voglio qualcosa da te. voglio che stai dalla sua parte.
Dalla sua parte? Non è tua figlia. E tanto meno la mia, che non è mai esistita. Lo disse forte quasi con rabbia, come per prevenire l’insinuazione che anche lui aveva avuto una figlia, anche se non era venuta al mondo, purtroppo, mentre quella di Leonie con il mondo non si era ritrovata, e lei non si ritrovava con questo fatto […]
Reither guardò la ragazzina che si era avvicinata ancora un po’, se ne stava lì con lo sguardo rivolto a terra muta e immobile come se attendesse una sentenza che la riguardava.
Perché vuoi che le stiano dando la caccia?
Perché è una ladra. Falla dormire da noi e appena ci addormentiamo si prenderà tutto.
Ma tanto cosa abbiamo con noi? Solo noi stessi. Dammi una buona ragione per cui dovremmo mandarla via e io le do i soldi e la mando via. Una ragione, Reither, una.
Perché in un certo senso se passa la notte con noi dopo non si può più tornare indietro. Volevamo andare fino all’Achensee a vedere sorgere il sole, ed eccoci qui in Sicilia.

L’INCONTRO

di Bodo Kirchhoff. Edizioni Neri Pozza (2017), traduzione dal tedesco di Riccardo Cravero.
Voto: 3/5

Come colonna sonora di romanzo e articolo ho scelto Autogrill di Francesco Guccini.
Penso che non ci sia bisogno di spiegarne i motivi, basta leggere il testo:

La ragazza dietro al banco mescolava birra chiara e Seven-up,
e il sorriso da fossette e denti era da pubblicità,
come i visi alle pareti di quel piccolo autogrill,
mentre i sogni miei segreti li rombavano via i TIR…
Bella, d’una sua bellezza acerba, bionda senza averne l’ aria,
quasi triste, come i fiori e l’ erba di scarpata ferroviaria,
il silenzio era scalfito solo dalle mie chimere che tracciavo
con un dito dentro ai cerchi del bicchiere…
Basso il sole all’orizzonte colorava la vetrina e stampava lampi
e impronte sulla pompa da benzina,
lei specchiò alla soda-fountain quel suo viso da bambina ed io….
sentivo un’ infelicità vicina…
Vergognandomi, ma solo un poco appena,
misi un disco nel juke-box per sentirmi quasi in una scena di un film vecchio della Fox,
ma per non gettarle in faccia qualche inutile cliché
picchiettavo un indù in latta di una scatola di tè…
Ma nel gioco avrei dovuto dirle: “Senti, senti io ti vorrei parlare...”,
poi prendendo la sua mano sopra al banco:

“Non so come cominciare: non la vedi, non la tocchi oggi la malinconia?
Non lasciamo che trabocchi: vieni, andiamo, andiamo via.”
Terminò in un cigolio il mio disco d’atmosfera,
si sentì uno sgocciolio in quell’aria al neon e pesa,
sovrastò l’acciottolio quella mia frase sospesa, “ed io… “,
ma poi arrivò una coppia di sorpresa…
E in un attimo, ma come accade spesso, cambiò il volto d’ogni cosa,
cancellarono di colpo ogni riflesso le tendine in nylon rosa,
mi chiamò la strada bianca, “Quant’è?” chiesi, e la pagai,
le lasciai un nickel di mancia, presi il resto e me ne andai…

Autogrill

di Francesco Guccini. Testi e musica di Francesco Guccini. Inciso per la prima volta nel 1983 nell’album Guccini, etichetta EMI Italiana.
Voto: 5/5

Cliccando QUI la potete sentire.

 

 

 

 

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Sono nato a Modena nel 1964 e vivo in un paese che è parte dell’Unione dei Comuni del Distretto Ceramico. Da 35 anni faccio piastrelle. Mi occupo di ricerca. Crescere, crescere, crescere: non esistono altri obbiettivi. Ogni anno è una sfida. Sposato con due figli, da quattro anni scrivo su questo blog. Ma fin dal primo articolo ho capito che recensire un libro, un film o una canzone non è che un pretesto per raccontarmi: pensieri, passioni, desideri. Ricordi. Il vero scopo è fermare il tempo. Trattenere il più possibile istanti di felicità.

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