Vi è mai capitato un libro che vi cambia la vita?
Il primo giorno di scuola alcune lettere non le pronunciavo, altrettante le invertivo. Solamente da grande ho scoperto di essere dislessico. Ma intanto le elementari sono state un disastro.
Per compensare non appena uscivo da scuola mi trasformavo: da depresso a carico come una molla. Non so dire se le due cose siano collegate.
Il mio cortile era il mio regno. Rincorrere gli amici, calciare un pallone, era la normalità.
Paragrafando Vasco: una splendida infanzia, straviziata, stravissuta, senza tregua.
Una vita così piena di senso da far passare ogni altra cosa in secondo piano.
Leggere? Per quale scopo?
Godevo già come un riccio!
Perché se ci pensate, se vivessimo ogni momento della nostra vita in un continuo stato di appagamento, di gioia e piacere, non avrebbe senso fermarsi a leggere un libro, guardare un film. Non avrebbe senso guardare da un buco della serratura le vite altrui. Perché è questo che facciamo quando ci appassioniamo ad altre storie. Non dico che non sia piacevole, che non sia emozionante. Ma è pur sempre un surrogato della vita, della felicità.
Ma la vita prima o poi ti chiede il conto. E tanto sei stato felice tanto sarai infelice. Perché è matematico: dopo un flusso c’è un riflusso. E difatti da re del cortile mi sono ritrovato solo come un cane. A dieci anni soffrivo come l’Incompreso di Luigi Comencini. Gli amici si sono dileguati. Troppo cresciuti. Troppo impegnati. Troppo importanti per continuare a giocare.
E se prima mi deprimevo solo a scuola, poi mi deprimevo anche a casa.
Il mio cortile?
Un guscio vuoto e senza più anima. Una tristezza che non vi dico.
Qualcosa dovevo pur fare. Ma ero troppo immaturo per chiedere aiuto. Troppo orgoglioso per cercare nuovi amici.
Ed è così che i tanto schifati film si trasformarono in una grande passione. Ma al cinema ci andavo una volta ogni morte di Papa e la TV non era certo quella di oggi: Rai1, Rai2, Rai3 era quello che passava il convento. Ricordo nei primi anni 80 il film del lunedì sera su Rai1, con l’indimenticabile sigla iniziale di Lucio Dalla: Dubudadubudubudà. Ed è proprio di quegli anni la vera discesa in campo di Berlusconi. O almeno è quella che io preferisco, con la nascita delle TV commerciali (Fininvest), che contribuirono a spezzare il monopolio Rai, aumentando di conseguenza le possibilità di scelta dei telespettatori. Quella sì che è stata una rivoluzione. Se Meno male che Silvio c’è, il tanto chiacchierato inno, fosse uscito per i meriti televisivi e non per una campagna elettorale avrebbe trovato il 100% di consensi. Sicuramente il mio! Ricordo che il palinsesto televisivo delle sue reti contribuì non poco a tirarmi su il morale. Le commedie sexy all’italiana, ad esempio. Drive In. Oppure… e provo a dirla con la massima eleganza, i tanti programmi dai contenuti erotici che venivano proiettati in orari notturni.
I libri?
Certo, qualche volta li prendevo in mano, leggevo le prime righe, un paio di pagine e poi li chiudevo. Li temevo come le bestie temono il fuoco.
Non c’era niente da fare, il blocco per i libri persisteva, era cazzuto.
Per chi potrebbe pensare male vorrei precisare che non ero analfabeta. Non mi riferisco ai libri scolastici, che c’entra. Quelli ero obbligato ad aprirli, studiarli. Sto parlando di leggere per il puro piacere di farlo: racconti, storie, romanzi.
Finché mia madre mi iscrisse a Euroclub.
Avete presente?
Una casa editrice specializzata nella vendita di libri per corrispondenza. Nel 1980 era una cosa frequente. Per invogliarti a diventare socio ti regalavano tre libri, o erano quattro? Dopo di ché eri obbligato a comprarne almeno uno al mese, scegliendoli da una rivista letteraria che ti inviavano per posta. Nel caso non ne scegliessi nemmeno uno era la casa editrice stessa ad inviarti, volta per volta, la loro proposta mensile. In pratica era un pacco: dover comprare anche quando non c’è nulla che ti ispira…
E in effetti erano più i libri che lasciavo a metà di quelli che finivo. Perché leggere non era come giocare nel cortile con i miei amici. Non lo sarebbe mai stato.
Ma ci provavo.
Fino a quando non mi sono trovato in mano Il primo libro di Li Po, di Vittorio Saltini.
Sono passati trentasette anni da allora e non ricordo bene com’è andata. Ma mi sembra molto improbabile che il Robbi che ero, appena diciassettenne e che leggeva pochissimo, scegliesse proprio quel romanzo. Sicuramente era la proposta del mese. Proposta che, invece di rivelarsi un pacco, mi conquistò da subito.
Era quello che ci voleva in quel momento. Emozionandomi come il migliore dei film.
Devo a Li Po’ e a Chuang-Tzu, i protagonisti assoluti di questo romanzo, la passione viscerale per le religioni orientali, per il Tao, per le storielle Zen. Ho iniziato allora a ripetere agli amici queste storielle. Improvvisandole, a volte in chiave umoristica, in altri casi con la massima serietà.
Leggere diventò un’abitudine. Ogni libro un’avventura. Una conquista. Un amico. Un compagno di viaggio.
E trovai il mio equilibrio.
La mia strada. Nuovi amici.
Perché:
A una mente tranquilla l’universo intero si arrende
di Chuang-Tzu
È leggendo quel libro che ho conosciuto Lao Tzu:
Così visse, dice il nonno, Lao Tzu, che per cinquant’anni fece lo scrivano nella scuola del suo villaggio, e per trenta volte rifiutò la promozione a bibliotecario, finché partì con la sua vacca, e prima di sperdersi nella foresta scrisse il libro del Tao, solo perché il doganiere altrimenti non lo lasciava passare il confine.
Più d’una storia mi si appiccicò addosso, per sempre:
“Chiedo licenza d’andare a vedere il mondo” chiese Po Chi al suo maestro.
“Allora sta fermo», rispose Lao-tzu, “il mondo è qui. Muta te stesso, non il cielo sotto cui vivi. Dappertutto si può trovare quella che errando cerchi, la felicità.»
. . . . . . . . . .
«Chi si vuole maschio è femmina, che si vuole femmina è maschio. Chi si vuole grande è piccolo, chi si vuole piccolo è grande. Sii stupido, ignorante. Chi sa di essere stupido, non è stupido del tutto; chi sa di sbagliare, non sbaglia del tutto. Nella discussione, impara di più chi viene sconfitto, tieniti in basso. L’alto poggia sul basso. Il grande comincia dal piccolo. Da un ramoscello viene l’albero, una torre da un mattone. Le montagne sono alte perché stanno una sull’altra cose basse. Il Fiume Giallo e il Fiume Azzurro divengono immensi raccogliendo ruscelli. Se t’incavi ti riempi, se ti pieghi ti conservi. Chi nasce è molle e debole, chi muore è duro e forte. Nella mollezza sta la lunga vita, nella rigidezza la morte. L’albero rigido viene abbattuto dal vento, quello che si piega si conserva.»
. . . . . . . . . .
Nessuno sarebbe bello, se gli altri non glielo dicessero.
Chi si crede brutto, se nel cuore della notte gli nasce un figlio, prende un lume e lo guarda tutto ansioso, temendo che gli somigli. E invece non c’è bello né brutto.
Chuang-tzu fu ospite d’un locandiere che, avendo due concubine, teneva in dispregio la bella e in pregio la brutta. Gliene chiese la ragione.
“La bella si considera bella”, rispose il locandiere, “perciò non mi appare bella. La brutta si considera brutta, perciò non mi appare brutta.”
Chuang-tzu apprezzò.
. . . . . . . . . .
E poi le poesie di Li Po.
Poesie: non già perché sei obbligato a imparare qualche strofa a memoria sui banchi di scuola, ma perché senti davvero che ti muove qualcosa dentro:
“Non è, la vita, che un lungo sognare:
io col lavoro non la sciuperò.»
Così restai tutto il giorno ubriaco
steso nel portico davanti a casa.
Svegliandomi sgranai gli occhi sul prato:
un uccello cantava in mezzo ai fiori.
Gli chiesi: “Il giorno era bello o piovoso?”
L’uccello ne parlava con lo zeffiro.
Commosso da quel canto sospirai,
e poiché il vino c’era empii la coppa.
Come un pazzo cantai, vòlto alla luna.
Finita la canzone, persi i sensi.»
. . . . . . . . . .
Quando son ebbro ignoro cielo e terra,
solo e immobile giaccio nel mio letto,
alla fine dimentico che esisto
e in quell’istante è grande la mia gioia.. . . . . . . . . .
Anche quel muro vecchio
Anche quel magro cane
anche il gelo nel secchio
gode il sole, stamane.
. . . . . . . . . .
Vidi morto mio nonno, sul letto. Ero bambino.
Volli sentir se il corpo, lì disteso, puzzava.
Sentii, dalla finestra aperta sul giardino,
salire odor di rose, che il morto coltivava.
. . . . . . . . . .
Poesie d’amore, poesie al di là del tempo:
Ancora non ho inteso
Il colore dei tuoi occhi:
mentre ti guardo brancolo
in una nebbia di gioia.
. . . . . . . . . .
Chi ha già letto altri articoli di questo blog potrebbe averle già lette.
Del resto è questo lo scopo del blog: raccontare le mie passioni. Lo faccio perché mentre mi racconto mi torno ad emozionare. Come la prima volta. Spero che, nei miei articoli, questo sentimento si percepisca, che arrivi all’eventuale lettore. È un po’ anche un modo per fermare il tempo. Trattenere istanti di felicità. Di poesia.
Adesso che
non sono più il re del cortile
adesso che
posso finalmente rallentare
adesso che
va bene così!
Due parole su Li Po (701-762 d.C.).
Chiamato anche Li Bai o Li Tai Po. È considerato uno dei maggiori poeti cinesi di sempre ed è conosciuto e amato anche in Europa. Le sue poesie sono animate da profondo spirito contemplativo e rispetto e amore per la natura.
Libertino e gran bevitore, amava le donne e viaggiare. La leggenda narra che sia morto annegato in un fiume mentre cercava di afferrare la luna riflessa nell’acqua.
Io l’ho amato da subito per la brevità ma allo stesso tempo per l’intensità delle suo opere, per la semplicità del testo, sia che tratti d’amore carnale o spirituale. E mi piace quando riconosco nelle sue poesie la forte ispirazione taoista.
Due parole su Chuang-tzu (369 a.C. circa – 286 a.C. circa).
Chiamato anche Zhuang-zi o Chuang Chou. Filosofo e mistico cinese.
È l’autore del Zhuang-zi, considerato insieme al Tao Te Ching di Lao Tzu e al Lieh Tzu, uno dei tre grandi classici del Taoismo.
La particolarità della sua opera è raccontare cose complesse facendo uso di metafore e storielle. Chuang-tzu era convinto che così facendo il suo messaggio avrebbe attecchito più facilmente. Perché si sa nessuno accetta consigli su come vivere la propria vita. Geniale!
Il primo libro di Li Po
di Vittorio Saltini (Lucca, 1934). Edizione Euroclub (1981) su licenza di Arnoldo Mondadori Editore. Terzo classificato al Premio Strega 1981. Edizione che vinse Umberto Eco con Il nome della rosa.
Voto: 4/5


Ultimi post di Roberto Alboresi (vedi tutti)
- Il Cortile dell’Eden - 4 Settembre 2022
- La Bala di Pierangelo Bertoli - 22 Luglio 2022
- Radici di Francesco Guccini - 3 Luglio 2022