Ultimamente divido i romanzi essenzialmente in due gruppi:
- Quelli che partono con il freno a mano tirato
- Quelli che partono a palla.
Nel primo caso – freno a mano – faccio un po’ più fatica all’inizio, ma se tengo duro e sono fortunato sono quelli che mi danno di più. I libri di Gabriel Garcia Marquez fanno parte di questa categoria. Cent’anni di solitudine, L’amore ai tempi del colera, ad esempio: avete presente? Li ho letti più volte e ogni volta mi hanno insegnato qualcosa, trasmesso nuove sensazioni. Ma sono eccezioni. Perché, ahimè, la maggioranza sono semplicemente pallosi, dall’inizio alla fine. Potrei citarne più d’uno, anche di quest’anno, ma non è molto elegante.
Viceversa, quelli che partono a palla – sono quelli che vengono troppo spesso definiti leggeri: ma ne siamo poi sicuri? – ti conquistano da subito, dalla prima riga:
I miei vicini non temono niente. Non hanno preoccupazioni, non si innamorano, non si mangiano le unghie, non credono al caso, non fanno promesse né rumore, non hanno l’assistenza sanitaria, non piangono, non cercano le chiavi né gli occhiali né il telecomando né i figli né la felicità. […] I miei vicini sono morti.
L’unica differenza che c’è fra loro è il legno della bara: quercia, pino o mogano.
È l’inizio di Cambiare l’acqua ai fiori di Valérie Perrin, e rappresenta a pieni titoli il secondo gruppo.
Gruppo che è diventato, è inutile che ci giro intorno, il mio preferito.
Si vede che invecchiando ho meno pazienza.
Non a caso si dice che per ogni cosa c’è il suo momento.
1 Per ogni cosa c’è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo.
2 C’è un tempo per nascere e un tempo per morire,
un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante.
3 Un tempo per uccidere e un tempo per guarire,
un tempo per demolire e un tempo per costruire.
4 Un tempo per piangere e un tempo per ridere,
un tempo per gemere e un tempo per ballare.
5 Un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli,
un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci.
6 Un tempo per cercare e un tempo per perdere,
un tempo per serbare e un tempo per buttar via.
7 Un tempo per stracciare e un tempo per cucire,
un tempo per tacere e un tempo per parlare.
8 Un tempo per amare e un tempo per odiare,
un tempo per la guerra e un tempo per la pace… (da La Sacra Bibbia – Ecclesiaste 3)
E non è per caso che ho fatto questa digressione. Un paio di mesi fa ho ripreso in mano proprio L’amore ai tempi del colera. Mi era venuta la voglia di recensirlo. È la più bella storia d’amore che ho letto. E ancora: la più bella testimonianza d’amore, di fedeltà, di lealtà, di adorazione.
Avete presente? Il giovane Fiorentino Ariza si innamora a prima vista della coetanea Fermina Daza. I due ragazzi iniziano uno scambio reciproco di lettere d’amore che presuppone una loro unione. Se non fosse che quando Fermina incontra per caso Fiorentino e lo guarda per bene lo trova tremendamente brutto e rompe il fidanzamento. Ma Fiorentino non demorde e saprà attendere cinquantatré anni sette mesi e undici giorni per rivedere Fermina, per poter riconquistare la più bella ragazza del Caribe.
Un libro bellissimo che mi ha emozionato come pochi, per questo lo volevo recensire. Avevo già in mente la foto! Ma prima dovevo rileggerlo. Non importa se lo avevo già letto una volta soltanto o cento. È una regola che mi sono imposto.
Ed è stato qui che ho avuto la certezza di essere cambiato, perché non ce l’ho fatta. Sarà che lo leggevo di sera sdraiato nel letto e dopo una dura giornata di lavoro, sarà che per ogni cosa c’è il suo momento, mi si chiudevano continuamente gli occhi. Al punto da non riuscire a finire nemmeno il primo capitolo. È un capolavoro indiscusso ed è bello: ma quanto è peso! O almeno mi è sembrato così in questa seconda vita da lettore. E lo sapevo benissimo che sarebbero arrivate pagine magiche e di una bellezza folgorante, ma il primo capitolo è lungo 59 pagine e non c’è stato niente da fare. E credetemi se vi dico che mi dispiace un casino e che mi sono sentito in colpa, dal momento che oggi come ieri lo considero tra i miei preferiti di sempre.
Che poi, mica si può stabilire se un libro merita o meno dal numero delle pagine, ma il primo capitolo di Cambiare l’acqua ai fiori dura 17 righe, e quelle che vi ho citato prima sono poco meno che la metà dell’intero capitolo. Anche se fossi stufo come un cavallo e non dormissi da due mesi lo finirei lo stesso.
La verità è poi semplicissima: questo romanzo ed io ci siamo trovati da subito.
Merito della scrittura: semplice e chiara, diretta e dai capitoli brevi.
Della storia: avvincente, intensa e coinvolgente.
Merito di Violette Toussaint, la protagonista, con cui mi sono sentito in perfetta simbiosi.
Dal risvolto di copertina:
Violette Toussaint è guardiana di un cimitero di una cittadina della Borgogna. Ricorda un po’ Renée, la protagonista dell’Eleganza del riccio, perché come lei nasconde dietro un’apparenza sciatta una grande personalità e una storia piena di misteri. Durante le visite ai loro cari, tante persone vengono a trovare nella sua casetta questa bella donna, solare, dal cuore grande, che ha sempre una parola gentile per tutti, è sempre pronta a offrire un caffè caldo o un cordiale.
Un giorno un poliziotto arrivato da Marsiglia si presenta con una strana richiesta: sua madre, recentemente scomparsa, ha espresso la volontà di essere sepolta in quel lontano paesino nella tomba di uno sconosciuto signore del posto. Da quel momento le cose prendono una piega inattesa, emergono legami fino allora taciuti tra vivi e morti e certe anime che parevano nere si rivelano luminose.
È di Violette la voce narrante. Un’anima grande. Ho pensato: ma quanto è cazzuta. Ed è stato semplice immedesimarmi in lei: non ci molla mai. E anch’io non ci mollo mai. Perché in fondo la vita è dura per tutti. E non è una gara, ma in fondo ognuno di noi ha le sue cicatrici ben nascoste sotto la pelle.
Se leggerete il libro scoprirete le sue.
E sarà la vostra piccola grande eroina.
Perché:
Nonostante sia stata abbandonata fin dalla nascita.
Nonostante sia stata affidata, come un pacco postale, a tante famiglie affidatarie.
Nonostante un matrimonio assurdo con un uomo tanto bello quanto egoista, artefice assoluto del loro nefasto destino:
Al contrario di me, Philippe Toussaint ha subito odiato il cimitero, il paese di Brancion, la Borgogna, la campagna, le vecchie pietre, le mucche bianche, la gente del luogo.
Non avevo ancora finito di aprire le scatole del trasloco che già andava a farsi giri in moto dalla mattina alla sera. Col passare dei mesi gli capitava di rimanere fuori per intere settimane, fino al giorno in cui non è più tornato. I gendarmi non hanno capito perché non avessi denunciato prima la sua scomparsa. Non ho detto loro che era già scomparso da anni, anche quando ancora si sedeva a tavola con me. Eppure, quando dopo un mese ho capito che non sarebbe tornato, mi sono sentita abbandonata come le tombe che pulisco regolarmente, altrettanto grigia, smorta e traballante, pronta per essere smantellata e vedere i miei resti gettati in un ossario.
Nonostante tutto, si è sempre risollevata.
Un passo alla volta, istante per istante, gesto dopo gesto, aggrappata alla quotidianità, che è poi l’unico modo per vivere davvero.
Che cosa ha fatto?
Niente di speciale, piccole cose che possono sembrare insignificanti, ma che se le fai bene danno senso alla vita:
Parla ai morti, ai parenti, agli amici, ai gatti, alle lucertole, ai fiori, a Dio.
E poi indossa i vestiti dell’estate sotto quelli dell’inverno. Lava periodicamente ogni lapide. Annota tutte le sepolture e le esumazioni, riportando sul registro l’essenziale, e un pensiero personale sul funerale, per chi non avesse potuto o voluto partecipare al rito funebre, nel caso ci avessero ripensato, nel caso volessero sapere.
Non potendo cambiare il passato sceglie di vivere il presente. È questo l’insegnamento di questo bellissimo romanzo.
Piccoli gesti, mi ripeto: come cambiare l’acqua ai fiori!
Valérie Perrin lavora da sempre nel mondo dell’arte e per anni è stata fotografa di scena delle più importanti produzioni cinematografiche francesi, tra cui quelle del marito Claude Lelouch. Il suo talento nel cogliere attraverso l’obiettivo situazioni, atmosfere, emozioni le ha fatto conquistare numerosi premi.
Cambiare l’acqua ai fiori
di Valérie Perrin. Edizioni e/o 2018 [2019]. Traduzione dal francese di Alberto Bracci Testasecca.
Voto: 4/5
Come colonna sonora ho scelto la musica di Ennio Morricone nel film C’era una volta il West di Sergio Leone. E lo so che qualcuno potrebbe storcere il naso e domandarsi: cosa c’entra un film western? Ma è una melodia talmente bella e struggente che ogni volta che l’ascolto mi si scioglie qualcosa dentro, ogni volta l’associo alla protagonista del film, una giovanissima e bellissima Claudia Cardinale. Cardinale che interpreta una ragazza cazzuta come Violette.
Cliccando QUI, potete sentire la canzone e vedere le immagini della Cardinale.


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Non la conosco, ma mi hanno colpito i suoi pensieri e la sua passione che è arrivata al mio sentire la vita come una grande Avventura ricca di esperienze, dolori, fatiche, gioie, soddisfazioni e inciampi, ma tutti i giorni diversi eppure uguali, nel credere nella gentilezza, amore, desiderio di riprovarci sempre.
Sì, è come dici: passioni e desideri. Sono questi i due sostantivi che si dividono ad ex aequo il titolo di salvatori delle nostre esistenze. Sono il sale della vita!
In questo Blog parlo proprio delle mie passioni e dei miei desideri, non so dire effettivamente perchè sia così importante per me condividere le cose che amo, forse è un modo per trattenerle, per riviverle… non a caso inizio a parlare di un libro, di un film, e finisco quasi sempre a parlar di me stesso.
Passioni e desideri, dicevamo, e allora se devo consigliarti l’autore che più di ogni altro ha innalzato proprio questi due sostantivi alla base della sua opera, di ogni suo romanzo: Sándor Márai.
Il suo capolavoro è a mio parere “Le Braci”, e naturalmente dopo averlo letto ho cercato in tutti i modi di trattenerlo. Qui, se ti interessa, puoi leggere il mio articolo: https://www.nelmiopiccolo.com/2018/10/27/le-braci/
Buongiorno Roberto,
ho acquistato il libro dopo aver letto la sua bellissima recensione.
Quasi 500 pagine letteralmente divorate. Ho pianto molto ma di un pianto benefico e poetico.
Valérie Perrin ti chiama dolcemente, ti fa sedere e tu ti adagi nella danza dei suoi pensieri, nel suo canto di bassi e acuti. E poi, poi ci fa conoscere questa donna meravigliosa che vorrei tanto fosse reale: Violette, amica mia.
Grazie Roberto, credo continuerò a seguire i suoi consigli
Buongiorno Rossana, mi fa molto piacere che ti sia piaciuto il libro, io da quando l’ho finito ne ho letti altri, di belli e di brutti, ma questo è speciale e lo ritrovo spesso nei miei pensieri, e devo dire che Violette manca molto anche a me. Sapere poi che l’hai acquistato dopo aver letto la mia recensione mi inorgoglisce.
Un’ultima cosa: spero non ti dispiaccia che ho scelto di darti del tu, magari sbaglio ma normalmente do del lei per mantenere le distanze…
Non mi dispiace affatto il tu!
Grazie ancora Roberto; tra un libro e l’altro, solitamente, faccio passare un po’ di tempo per lasciare sedimentare le emozioni che, questo caso, sono state potenti. Acquisterò “doppio vetro” e naturalmente continuerò a seguire le recensioni e il blog
Buonasera Roberto, io ho iniziato da poco a leggere questo libro che mi hanno regalato e che mi sta conquistando pagina dopo pagina. Lo sto sorseggiando come si farebbe con un vino prezioso, anche perché essendo astemia devo stare attenta….
Mi ha incuriosito così da subito che ho avuto voglia di leggere una recensione e sono incappata nella più bella recensione che abbia mai letto in vita mia. La ringrazio infinitamente per questo doppio regalo.
Ecco un libro del quale sembra non esistere una recensione negativa. L’ho letto anche abbastanza velocemente, mi ha preso molto all’inizio. Forse perché vi si narra la storia di una custode di cimiteri.
(Un posto dove tanti si trovano a disagio, un posto dove a me piace passeggiare invece, spulciare le lapidi altrui, sbirciare gli epitaffi, osservare le architetture e gli ornamenti, le date dei decessi e le foto scelte.. lo facevo anche prima della morte di mamma, anche se meno spesso, andando a trovare suoceri, amici, nonni, zii.. quindi l’atmosfera di luogo appartato, di isolamento riflessivo ed intimo, descritta nel libro, l’ho trovata subito nelle mie corde).
Ed anche Violette, la custode (anche se da più parti accostata – impropriamente – alla Renée de “L’eleganza del riccio”), mi ha comunicato come un senso di complicità e di affinità elettiva, con la sua quiete interiore, la maturità ed un livello di esistenza superiore che quel luogo di “pace eterna”, sembrava come averla permeata in acutezza e sensibilità. Ma proprio mentre mi stavo accomodando tra le pagine placide di aromi e tempi dilatati, si parte per la tangente. Violette ha un passato, e ci posso stare, ma soprattutto diventa arbitro e crocevia di una moltitudine di intrecci che svicolano tutti per il piccolo cimitero di provincia. Dall’amore folle a quello molestissimo, dal thriller elementare fino alla sua soluzione infantile. Dagli intrecci di vite diverse e molteplici, dai contorcimenti familiari fin troppo ambigui, improbabili, irreali. Dai ribaltoni alle confessioni, dalle preghiere ai distacchi e alle rinunce. Incontri e rincontri, tutto e tutti intruppati, a mirabolante incastro, nel sottosuolo del piccolo cimitero, con i flashbacks a esumarsi l’uno con l’altro.
(E’ come nei piccoli paesi, appena fuori dell’abitato, dove mi piace aprire vecchi cancelli cigolanti, in minuscoli poderi, a volte in appendice ad antiche chiese appesantite dalle stagioni; a volte su disordinati cimiteri ricolmi di passato, di storie e racconti: non c’è morte ma solo palpabile quiete, tombe e lapidi sembrano composte sciattamente, lasciando minimi e insensati spazi, ma rimane l’idea di un composto omogeneo, affiatato, necessario.. una tavolata di vecchie conoscenze, e noi a passeggiare chiedendo permesso e origliando leggende.. )
Forse da qui quel “cambiare l’acqua ai fiori” perché quel sottoterra brulica di sete d’amore, vendetta e incanto, odio e fascino, oblio e rammarico. Ma andrebbero impiantati semafori per quei vialetti, non lucine (quei semafori addirittura esaltati e protagonisti, attraverso una pagina di melassoso cinema a nome “I Ponti di Madison County”), e chi passeggia sopra non è che la punta dell’iceberg di sconvolgimenti che partono da lontano ed evidentemente non trovano pace ma, anzi, la arano quella terra fino a sviscerarne ogni più recondita radice. E lì comprendiamo che la Perrin (nella vita coniugata Claude Lelouche, del quale non lesina nel libro scene e citazioni) non vuole più solo stupire: vuole strafare, vuole ammucchiarne di legna sul fuoco, inondarli d’acqua quei fiori; adultere che danno del Lei, personaggi e personaggini che si incrociano a più riprese, e poi esequie su esequie, orazioni funebri da show, numero dei presenti e numero degli assenti, collezione di vedove inconsolabili, matrimoni che ce ne fosse uno azzeccato, rimorsi e rimpianti, ceneri al vento e inumati che in realtà non ci sono mai stati. Un continuo scoprire carte (o tombe): si parte per sottrazione e i piani temporali disseppelliscono (per rimanere in tema) altri piani temporali. Un cimitero che è Arrivo ma allegoricamente Partenza, in teoria indizio di stabilità definitiva, ma in realtà punto focale dove il tutto si aggira vorticosamente attorno, tutto passa per la casa della custode, segreti e consigli, sensazioni e sentimenti, passato e futuro, consolazioni e rivelazioni; quella casa racchiude un turbinio, e il terreno attorno sembra dissodare costantemente anziché custodire, urlare anziché silenziare.
(Ricordo ancora quando, per vedere se le lampade crepuscolari messe nel terreno vicino la tomba di famiglia di mamma, dovetti aspettare nel cimitero, quasi fino all’orario di chiusura, che ci fosse abbastanza oscurità per permettere ai led di accendersi. Ero praticamente da solo a passeggiare sereno tra vialetti e lapidi in un magnifico silenzio, ignaro dello spettacolo che di là a pochi istanti mi sarebbe apparso: nell’oscurità incipiente una miriade incredibile di lucine stavano creando autentico spettacolo. Una città fibrillante di luce, come di festa, ma privata, una festa solo per me, e per la mia mamma).
“Signor Seul, se sulle porte degli armadi ci sono le chiavi, è perché nessuno li apra” questo fa dire Valérie Perrin a Violette. In realtà Cambiare l’acqua ai fiori si sarebbe potuto chiamare: “Svuotate gli armadi, se non ci sono le chiavi, chiedete a Violette”. Mi rendo conto però che sarebbe stato troppo lungo, ed in qualche modo avrebbe potuto spoilerare gli innumerevoli epiloghi, con svariati incipit ad orologeria, tenuti semi occultati per due/trecento pagine.. giusto per farci ambientare ad atmosfere solo apparentemente lugubri. Un romanzo a scatole cinesi a forma di piccole bare, se mi è permesso il gioco di parole. Un narrare che chiede troppo, a mio avviso, nella nobile intenzione di donare tanto, sia chiaro, ma che rischia di fradiciare anche il fiore più resistente, a volergli cambiare troppo spesso l’acqua.
Ho letto con curiosità la sua recensione, e rispetto il suo punto di vista, ma ribadisco il mio: un bellissimo romanzo. A proposito: considero “I ponti di Madison County” un capolavoro, sia il romanzo che il film, semplicemente la pensiamo diversamente.