Se vi è piaciuto Cambiare l’acqua ai fiori di Valérie Perrin non perdetevi Persone normali di Sally Rooney. Sono i due libri più belli del 2019: lo stesso piacere nel leggerli, la stessa tenerezza per i protagonisti della storia e la stessa nostalgia, nel doverli lasciare.
Persone normali mi ha ricordato Un giorno di David Nicholls:
- Nei capitoli, che si susseguono in ordine cronologico: nel capolavoro di Nicholls sempre e solo il 15 luglio di ogni nuovo anno – l’anniversario del giorno in cui per la prima volta Emma e Dexter si sono amati – ; nel secondo romanzo di Sally Rooney in mesi, giorni, settimane o anche solo ore.
- Nella scrittura: semplice e dai dialoghi incalzanti e brevi.
- Nella trama: l’incontro di due studenti che si amano da subito e che sembrano essere fatti l’uno per l’altra ma si lasciano e si riprendono di continuo senza essere mai stati davvero insieme. Incomprensione, insicurezza, fragilità e stupidità: il freno inibitore della loro relazione. E ancora, solitudine e sentirsi un pesce fuor d’acqua. Ma tant’è: non sono sentimenti comuni ai più? Per lo meno a me sì. Ed è per questo che mi sono immedesimato così tanto in questi ragazzi. Quante volte a una festa o in discoteca ho provato tutto ciò sulla mia pelle? Quante volte mi sono isolato sperando di non essere notato? Da sentirmi sbagliato, da quanto mi sento diverso; arrabbiato, per non riuscire a omologarmi al gruppo: alle consuete parole – che conosco perfettamente ma non escono più -, ai soliti vizi – o tutti o nessuno -, al bicchiere sempre pieno, perché poi con tutto quell’alcool è più facile.
Due parole ancora su David Nicholls: dopo Un giorno (Neri Pozza, 2010), ho letto tutti i suoi romanzi: Le domande di Brian (Sonzogno, 2004), Una botta di fortuna (Sonzogno, 2007), Noi (Neri Pozza, 2014). È dal 2014 che aspetto un suo nuovo romanzo, da cercarlo continuamente in rete i primi tempi, ma senza fortuna, e che bella sorpresa trovarlo in libreria, prenderlo in mano, sfogliarlo e farlo mio: Un dolore così dolce (Neri Pozza, 2019), il titolo.
Letto un paio di settimane fa – appena prima di Persone normali –, e…? Non ho cambiato idea su David Nicholls, ma è il libro di Sally Rooney che ho scelto per questo articolo. Normalmente su cinque libri che leggo ne recensisco uno, se sono fortunato due. E non è solo per puro gusto letterario, ci devo trovare dell’altro, non so dire cosa con precisione, è difficile da spiegare, mi deve muovere qualcosa dentro, come un ricordo o un viaggio o una possibilità, così che anch’io posso raccontare una storia: la mia. E con Un dolore così dolce, pur essendo bello, questo qualcosa non l’ho trovato.
I due protagonisti di Persone normali sono compagni di scuola in tutto e per tutto opposti: Marianne ha una famiglia ricca ma intollerante all’amore, Connell è il figlio di una donna povera ma premurosa. Bello e timido e popolare lui, insignificante e strana e bullizzata lei. Eppure, ogni pomeriggio Connell suona il campanello e Marianne va ad aprire e lo fa entrare e chiacchierano e si conoscono e flirtano, mentre attendono che Lorraine – la madre di Connell – finisca di fare il suo lavoro: la domestica in casa di Marianne.
Ho invitato Rachel al ballo di maturità, dice.
Cosa?
Ho chiesto a Rachel Moran di venire al ballo con me.
Stanno passando davanti a un’officina e Lorraine si affretta a battere su finestrino. Accosta qui, dice. Connell dà un’occhiata perplesso. Cosa? Dice. Lei torna a battere sul finestrino, più forte, e le sue unghie ticchettano sul vetro. Accosta ripete. Lui si affretta a mettere la freccia, guarda nel retrovisore, accosta e e si ferma. Di fianco all’officina qualcuno sta lavando un furgone con la canna; l’acqua scorre via in rivoli scuri.
Vuoi qualcosa dal negozio? Dice lui.
Marianne con chi va, al ballo?
Connell strizza il volante con l’aria assente. Non lo so, dice. Dimmi che non mi hai fatto posteggiare solo per discutere.
Quindi può darsi che non la inviti nessuno, dice Lorraine. Che rimanga a casa e basta.
Già, può darsi. Non lo so. […]
Marianne è al corrente che accompagni qualcun altro? dice Lorraine.
Non ancora. Glielo dirò.
Lorraine si porta una mano alla bocca, per cui gli è impossibile cogliere la sua espressione: potrebbe essere sorpresa, o preoccupata, o potrebbe essere sul punto di vomitare.
E non pensi che magari avresti dovuto invitare lei? dice. Considerato che te la scopi ogni giorno dopo scuola.
Che linguaggio indecente.
A Lorraine quando inspira si spalancano le narici. In che termini dovrei metterla? dice. Immagino che dovrei dire che l’hai usata per il sesso, è più preciso così?
Ti vuoi calmare un secondo? Nessuno sta usando nessuno.
Come hai fatto a farla stare zitta? Le hai detto che se l’avesse raccontato in giro le sarebbe successo qualcosa di brutto?
Gesù, dice lui. Ovvio che no. Eravamo d’accordo, ok? La stai facendo davvero lunga.
Lorraine annuisce tra sé, fissando oltre il parabrezza. Lui, teso, aspetta che dica qualcosa.
Marianne a scuola non piace, vero? dice Lorraine. Quindi suppongo che avessi paura di quello che avrebbero detto di te se l’avessero scoperto.
Lui non reagisce.
Be’, ti dirò quello che ho da dirti, prosegue Lorraine. Penso che tu sia un infame. Mi vergogno di te.
Lui si asciuga la fronte con la manica. Lorraine, dice.
Lei apre la portiera.
Adesso dove vai? dice lui.
Io torno in autobus.
Ma cosa stai dicendo? Ti vuoi comportare in modo normale?
Se resto in questa macchina non farò che dire cose di cui poi mi pentirò.. . . . . . . . . .
Una settimana dopo aver lasciato la scuola è entrata in cucina e ci ha trovato Lorraine in ginocchio sul pavimento che puliva il forno. Lorraine si è tirata un po’ su e si è asciugata la fronte con la porzione di polso che sporgeva dal guanto di gomma. Marianne ha deglutito.
Buongiorno, tesoro, ha detto Lorraine. Ho sentito che non vai a scuola da qualche giorno. Va tutto bene?
Sì, tutto ok, ha detto Marianne. In realtà a scuola non ci torno. Mi sono accorta che rendo di più se sto a casa a studiare.
Lorraine ha annuito e commentato: Fai come credi. Dopodiché ha ripreso a strofinare l’interno del forno. Marianne ha aperto il frigo in cerca del succo d’arancia.
Mio figlio mi dice che non gli stai rispondendo al telefono, ha aggiunto Lorraine.
Marianne ha esitato, e il silenzio della cucina le ha riempito le orecchie, come il rumore bianco dell’acqua che scorre. Sì, ha detto. Mi sa che è vero.
Fai bene, ha detto Lorraine. Non ti merita.
Marianne ha provato un tale e improvviso senso di sollievo che era quasi come il panico. Ha appoggiato il succo d’arancia sul piano di lavoro e chiuso il frigo.
Lorraine, ha detto, può chiedergli di non venire più qui? Se tipo deve venirla a prendere o così, va bene se non entra in casa?
Oh, per quanto mi riguarda è definitivamente bandito. Puoi stare tranquilla. Ho una mezza idea di cacciarlo anche da casa mia.
Marianne ha sorriso, sentendosi a disagio. Non ha fatto niente di così terribile, ha detto. Voglio dire, a scuola in realtà in confronto agli altri era abbastanza gentile, per essere sinceri.
A questo punto Lorraine si è alzata e sfilata i guanti. Senza aprire bocca, ha preso Marianne tra le braccia e l’ha stretta forte. Con una voce strana e contratta, Marianne ha detto: È tutto ok. Sto bene. Non si preoccupi.. . . . . . . . . .
Non so cos’ho che non va, dice Marianne. Non so perché non riesco a essere come le persone normali.
La sua voce è insolitamente fredda e distante, come fosse la registrazione della sua voce ascoltata dopo che lei se n’è andata o è partita per un’altra destinazione.
In che senso? dice lui.
Non so perché non riesco a farmi amare. Penso di essere nata sbagliata.
C’è un sacco di gente che ti ama, Marianne. Ok? La tua famiglia e i tuoi amici ti amano.
Lei rimane zitta per qualche secondo e poi dice: Tu la mia famiglia non la conosci.
Si è a malapena reso conto di averla usata, la parola «famiglia»; stava solo cercando qualcosa di rassicurante e non impegnativo da dire. Adesso non sa cosa fare.
Con la stessa strana voce atona lei insiste: Mi odiano.
Lui si tira su nel letto per vederla meglio. So che litigate, dice, ma ciò non vuol dire che ti odino.
L’ultima volta che sono tornata a casa mio fratello mi ha detto che dovrei ammazzarmi.
Connell si tira su un altro po’, meccanicamente, spingendo via la trapunta come se stesse per alzarsi. Si passa la lingua sul palato.
E perché l’ha detto? dice.
Non lo so. Ha detto che se morissi non mancherei a nessuno perché non ho amici.
E quando ti dice delle cose del genere a tua madre tu non lo dici?
C’era anche lei, dice Marianne.
Connell dimena la mascella. Il sangue gli pulsa nel collo. Sta cercando di visualizzare la scena, gli Sheridan a casa, Alan che per qualche motivo dice a Marianne di suicidarsi, ma è difficile immaginare una famiglia comportarsi nel modo che lei ha descritto.
Che cosa ha detto? chiede. Sottinteso: come ha reagito?
Credo che ha detto qualcosa tipo, oh, non incoraggiarla.
Connell inspira lentamente dal naso ed espira dalla bocca.
E qual è stata la molla? dice. Cioè, com’è iniziato il litigio?
Adesso sente che nell’espressione di Marianne qualcosa cambia, o si indurisce, ma non riesce esattamente a definire cosa sia.
Pensi che abbia fatto qualcosa per meritarlo, dice lei.
No, ovviamente non sto dicendo questo.
Ogni tanto penso che evidentemente me lo merito. Se no perché dovrebbe succedere. Ma quando lui è di cattivo umore inizia a seguirmi per la casa e basta. Non c’è niente che io possa fare. Mi entra in camera, e non gli importa se sto dormendo o altro.
Connell strofina i palmi sul lenzuolo.
Ti ha mai picchiata? dice.
Ogni tanto. Meno da quando me ne sono andata. Per essere sinceri non ci faccio neanche granché caso. Le cose psicologiche sono più avvilenti. Davvero, non so come spiegarlo. So che devo sembrare…
Lui si tocca la fronte. Ha la pelle bagnata. Lei non finisce la frase per spiegare come deve sembrare.
Perché non me ne hai mai parlato? dice. Lei non risponde. C’è poca luce ma riesce a vedere i suoi occhi aperti. Marianne, dice. In tutto il tempo che siamo stati insieme, perché non mi hai mai detto niente?
Non lo so. Forse non volevo che tu pensassi che ero rovinata o cose così. Probabilmente avevo paura che non mi avresti più voluta.. . . . . . . . . .
Come colonna sonora di articolo e libro ho scelto Giudizio universale di Samuele Bersani.
Troppo cerebrale per capire che si può star bene senza
complicare il pane
ci si spalma sopra un bel giretto di parole vuote ma doppiate
Mangiati le bolle di sapone intorno al mondo e quando dormo
taglia bene l’aquilone, togli la ragione e lasciami sognare, lasciami
sognare in pace
Liberi com’eravamo ieri, dei centimetri di libri sotto i piedi
per tirare la maniglia della porta e andare fuori come Mastroianni
anni fa,
come la voce guida la pubblicità
ci sono stati dei momenti intensi ma li ho persi già
Troppo cerebrale per capire che si può star bene senza
calpestare il cuore
ci si passa sopra almeno due o tre volte i piedi come sulle aiuole
Leviamo via il tappeto e poi mettiamoci dei pattini
per scivolare meglio sopra l’odio
Torre di controllo, aiuto, sto finendo l’aria dentro al serbatoio
Potrei ma non voglio fidarmi di te
io non ti conosco e in fondo non c’è
in quello che dici qualcosa che pensi
sei solo la copia di mille riassunti
Leggera leggera si bagna la fiamma
rimane la cera e non ci sei più…
Cliccando QUI, potete sentirla.
E forse il messaggio di Persone normali è proprio quello di non essere persone normali, e smetterla una buona volta di omologarsi, di compiacere il branco e sottostare ai giudizi universali.
Persone normali
di Sally Rooney. Einaudi, 2019
Voto: 5/5


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