Disobedience (2017), diretto da Sebastián Lelio, con Rachel McAdams e Rachel Weisz. Liberamente tratto dal romanzo omonimo di Naomi Alderman.
Lo dico subito: l’amore è un mistero. Non lo puoi codificare, confinare, razionalizzare. Quando t’innamori è una botta di adrenalina, la gioia nel cuore, le farfalle nello stomaco, l’universo nei suoi occhi. Fino a quando non ripiombi per terra. Le ossa rotte. Una cicatrice in più al cuore.
Le storie d’amore si esauriscono. Solo l’amore è inesauribile.
Questo film parla di amore e peccato, di libertà e speranza. La speranza di vivere in un mondo in cui si possa amare senza sentirsi giudicati né condannati. Senza barriere o costrizioni: il colore della pelle, la casta sociale, il sesso d’appartenenza. Senza distinzioni tra la famiglia tradizionale e famiglia omosessuale.
Ronit ritorna a casa vent’anni dopo, per il funerale del padre – capo rabbino della comunità ebraico ortodossa di Londra. Ritrova i suoi amici d’infanzia: il cugino Dovid – studioso della Torah e predestinato a sostituire proprio il padre di Ronit – ed Esti, il primo amore. Esti che ha accettato di sposare proprio Dovid, perché è la cosa giusta da fare. Per guarire. Perché l’omosessualità è peccato e tutta la comunità sapeva di quelle due lesbiche. Perché una donna, nell’ebraismo ortodosso, ha senso solo come moglie e madre. E alle due amiche basterà incontrarsi, per riaccendersi. Per essere di nuovo giudicate e condannate da quella stessa comunità, chiusa e bigotta, da cui Ronit era scappata da giovanissima.
Mai come in questo caso il regista è andato al nocciolo del problema: Dogma o libero arbitrio?
Si dice che la fede è cieca, che Dio si ama con il cuore e non col cervello, che ci sono delle rivelazioni divine che non possono essere messe in discussione, che sono diventate patrimonio dottrinale: l’Immacolata Concezione, ad esempio.
Ma se così fosse, se tutti quanti sottostessimo ai comandamenti del Dio creatore allo stesso modo in cui un gregge di pecore sottostà alla volontà del pastore, per quale motivo Dio ci avrebbe dotati di libero arbitrio?
Unici fra tutte le creature dell’universo.
Ed è attraverso le parole di due rabbini ebrei ortodossi che il regista del film ci sorprende e contemporaneamente eleva Disobedience a capolavoro.
«In principio Hashèm fece tre tipi di creature: gli Angeli, le bestie, e gli esseri umani.
Gli Angeli vennero in essere dalla purezza del suo Verbo. Gli Angeli non sono inclini al male, non possono deviare per un momento, dal suo proposito.
Le bestie non hanno che il loro istinto a guidarle, anch’esse seguono i comandamenti del creatore.
La Tōrāh dice che Hashèm ha trascorso quasi sei interi giorni della creazione a forgiare queste creature, poi un istante prima del tramonto ha raccolto un pugno di terra e da essa ha plasmato l’uomo e la donna.
Un ripensamento? Oppure il suo coronamento?
Che cos’è dunque l’uomo? La donna?
È un essere che ha il potere di disobbedire. Unici fra tutte le creature siamo dotati di libero arbitrio. Ci troviamo in bilico fra la purezza degli Angeli e i desideri delle bestie. Hashèm ci ha concesso la scelta che sia privilegio o sia fardello noi dobbiamo scegliere la vita aggrovigliata che viviamo… ».
È l’inizio del film, e sono le ultime parole del Rav, il padre di Ronit e capo della comunità Ebraica. È la sua eredità spirituale. L’ultimo sermone, incompiuto, poiché a metà frase si accascia e muore.
E sarà proprio Dovid a completare le parole del maestro, a fine film, quando tutta la comunità è riunita per la sua incoronazione.
Dovid il discepolo prediletto del grande Rav.
Il figlio spirituale.
C’è molta attesa e curiosità.
Tutti sanno cosa sta vivendo Dovid.
Tutti sanno di Ronit e di Esti.
La formula vuole che deve essere presentato.
Lo chiamano due volte.
Si fa attendere.
Quando esce è serio.
Confuso.
Agitato.
Ha in mano le pagine del sermone, scritte con tanta abnegazione, durante la lunga settimana del lutto.
«Il Rav Krushka ha spesso accennato al dovere del docente… il dovere… ».
Dopo poche parole si blocca. Chiede scusa. Appoggia i fogli e ricomincia a parlare, a ruota libera.
«L’unica figlia del Rav Ronie Krushka è qui con noi oggi» la indica. «Il Rav nelle sue ultime parole… perché ha messo in discussione il concetto di scelta? E libertà? E niente è più tenero o autentico della reale sensazione di essere liberi.
Liberi di scegliere.
Il Rav era un gigante della Tōrāh. Ma non era un gigante che abbiamo visto crollare quel giorno. Era un uomo. Parlava degli Angeli e dei desideri delle bestie, e con le sue ultime parole ci ha ricordato questo: Siamo liberi d scegliere!».
Poi dopo una lunga pausa. Dopo aver alzato gli occhi sulla platea dove sono sedute le due donne: moglie e cugina, dopo aver incrociato i loro occhi, dopo aver sospirato conclude:
«Siete liberi.
SIETE LIBERI!».
E questa cosa è dinamite. Davvero. A dottrina, a messa, mica ce l’hanno mai detta. Ci insegnano la preghiera del Credo. E se fai come dicono loro sarai ricompensato. Salvato. Liberato. Tuttavia, tutti quanti abbiamo questo potere: Siamo liberi di scegliere.
Liberi di credere o dubitare, di perderci o ritrovarci, di prendere o lasciare, di essere buoni o cattivi, onesti o disonesti, felici o tristi, sereni o inquieti, sinceri o bugiardi.
Liberi di amare: uomo o donna che sia. Ed è proprio Dio che ha voluto così.
Se no perché ci avrebbe concesso il libero arbitrio.
Non so… penso che questa cosa non tutti l’abbiano capita.
E penso che non tutti i preti o rabbini avrebbero il coraggio e la sincerità che hanno avuto il Rav e Dovid.
E ritornando al dibattito iniziale: pari diritti tra le famiglie tradizionali e quelle gay, ritengo che sia giusto vivere e lasciare vivere.
Ritengo che amare non sia mai sbagliato.
E a tutti gli eterosessuali vorrei dire:
Non vi obbliga mica nessuno ad amare e a sposare un gay.
E a tutti i credenti, beghini o bigotti vorrei chiedere:
Vi sedete sul trono di Dio?
A Dio solo dovrebbe essere consesso il diritto di giudicare, di condannare.
Come colonna sonora ho scelto Compagni di viaggio, di Francesco De Gregori.
Cliccando QUI, potete sentirla.
Avevano parlato a lungo di passione e spiritualità.
E avevano toccato il fondo della loro provvisorietà.
Lei disse sta arrivando il giorno,
chiudi la finestra o il mattino ci scoprirà.
E lui sentì crollare il mondo,
sentì che il tempo gli remava contro,
schiacciò la testa sul cuscino,
per non sentire il rumore di fondo della città.
Una tempesta d’estate lascia sabbia e calore.
E pezzi di conversazione nell’aria e ancora voglia d’amore.Lei chiese la parola d’ordine, il codice d’ingresso al suo dolore.
Lui disse “Non adesso, ne abbiamo già discusso troppo spesso,
aiutami piuttosto a far presto,
il mio volo lo sai partirà tra poco più di due ore.
Sentì suonare il telefono nella stanza gelata
e si svegliò di colpo e capì di averla solo sognata.
Si domandò con chi fosse e pensò “E’ acqua passata”.
E smise di cercare risposte, sentì che arrivava la tosse,
si alzò per aprire le imposte,
ma fuori la notte sembrava appena iniziata.
Due buoni compagni di viaggio non dovrebbero lasciarsi mai.
Potranno scegliere imbarchi diversi, saranno sempre due marinai.
Lei disse misteriosamente “Sarà sempre tardi per me quando ritornerai”.
E lui buttò un soldino nel mare, lei lo guardò galleggiare, si dissero “Ciao!”
per le scale e la luce dell’alba da fuori sembrò evaporare.


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