Il mio volo libero

Al vero Gabbiano Jonathan
che vive nel profondo di tutti noi

È la dedica dell’Autore a inizio libro.
Ma io mica la ricordavo.
Probabilmente la prima volta che l’ho letta non ero il tipo da perdersi in queste finezze.
Difficilmente a vent’anni si è così attenti ai dettagli.
Sicuramente non così nostalgici.
Che poi questi assurdi giorni – in cui esco solo per andare a lavorare, non vedo i miei figli da due settimane e mia madre solo quando è indispensabile – si portano dietro una malinconia che viene naturale ricordare, una tensione e un’angoscia da neuro.
Da noi a Modena si dice avér al magòun.
Normalmente in questi casi esco, vedo amici, compro libri, vado a vedere il Modena, al cinema, al ristorante, cammino.
Ma adesso?
Adesso che ho anche esaurito la scorta di libri sul comodino che faccio?
È il momento di rileggere un classico. Ho pensato. Sì! Devo rileggere un capolavoro. Il libro giusto, magico e che mi liberi da questo incubo in cui sto precipitando. Annullare i pensieri ed entrare in un mondo fantastico. È questo che mi ci vuole. Una bella storia. Per un paio di giorni o anche solo per un attimo. Sognare. Desiderare. Amare, che fanno rima con giocare.
Giocare… perché smettiamo di farlo?
Quand’è che la mia vita ha smesso di aver un senso?
Dov’è finito il piccolo Robby?
Dov’è finita quella passione che esplodeva in ogni cosa che facevo?
Quand’è che ho smesso di ridere e correre come un matto e saltellare dalla gioia?
Per un pallone. Nascondino. Stella comanda color. Pepito di Maiorca. Ruba bandiera. Mosca cieca. Il gioco della bottiglia. Ballare un lento. Stare insieme. Chiacchierare. Aspettare di aver digerito prima di buttarsi in mare. Il giro d’Italia sulla spiaggia con le palline di plastica. Una tigella. Una pasta. Lo zabaglione al marsala. Il bensone pucciato nel lambrusco. Un bif.

Poi, dal nulla, come accade spesso, si è materializzato nella mia mente il gabbiano Jonathan Livingston. Trent’anni che non ci pensavo ed eccolo qui! E lo so benissimo come va a finire in questi casi. Non me lo tolgo più di dosso. Non senza aver riletto il libro. Non senza aver condiviso la storia con Jon.
E già lo desideravo quello stramaledetto gabbiano – mentre lo cercavo fra i tanti volumi della libreria di casa, convinto com’ero di ritrovarlo immobile al suo posto -, pregustando il piacere del viaggio che avremmo fatto insieme.
Ma porca puttana a chi l’ho avrò prestato?
Ed è  così che ho dovuto cedere a mia moglie, acquistarlo su Amazon e scaricarlo sul Kindle.
Ma già un attimo dopo aver dato a Luisa il benestare pensavo: A me piace leggere i libri. I libri veri. I libri di carta, con la copertina e l’immagine della copertina, e il segnalibro e voltare le pagine avanti e indietro. E quando l’ho finito trovargli il suo posto nella libreria e…
«È già arrivato! Ce l’hai sul Kindle».
«Ma come… saranno passati solo due minuti?»
«Con chi credi di aver a che fare: ogni tuo desiderio è un ordine» mi prende in giro Luisa, «almeno smetterai di avere quel muso».
Ed è così che mi sono imbattuto nella dedica di Richard Bach, e sono tornato a un lontanissimo pomeriggio di carnevale di tanto, tanto tempo fa.
Quando ero piccolo mia madre mi portava tutti gli anni a sentire lo sproloquio di Sandrone in Piazza Grande.
Dei tanti giovedì grasso mia madre mi racconta sempre di quella volta che ero scappato, della paura che si era presa. Stavamo aspettando l’autobus per tornare a casa e io sono salito sul numero sbagliato. A sentir lei avrei seguito una donna che mi voleva rapire. Poi devo aver pianto come una fontanella, la donna deve essere scesa alla prima fermata e l’autista mi ha portato con lui al capolinea.
«Ti ricordi?» mi domanda mia madre ogni volta.
«No mamma, ero troppo piccolo».
Il mio primo ricordo di carnevale non è quello. È legato proprio a Sandrone e a Sgorghegol (Sgorghiguelo), ma è di qualche anno dopo: il 1972? O sarà stato il ’73? Ricordo la Piazza Grande pienissima. La festa. Le risate. Ricordo che quando Sandrone parlava le risate erano fragorose. Anche mia madre rideva, ed era una risata contagiosa. Poi iniziò a parlare Sgorghegol – non so cosa disse, non è importante -, ma si intromise di nuovo Sandrone: «Sta zett gabbian». E più volte ancora: «Te propria un gabbian…»
E io ridevo e ridevo.
E lo so che è una cavolata. Ma è comunque il mio primo ricordo di carnevale. Quindi.
Ed è a questo che ho pensato quando ho letto:

Al vero Gabbiano Jonathan che vive nel profondo di tutti noi

Che strane piroette fanno i ricordi. I ricordi sono prestigiatori della tua anima. Istanti di felicità che non puoi trattenere, un sospiro di vento che ti sfiora, t’incanta, t’illude e svanisce, come neve che nell’immenso mare muore.

Mi piacciono le dediche iniziali, così come le citazioni. Sono spesso rivelatrici.
Chi non ha desiderato, almeno una volta nella vita, di poter planare sul mare come un gabbiano?
Spiccare il volo e volare libero nel cielo?
Volare: non è il miglior sinonimo di libertà?
Ma c’è dell’altro.
Perché Jonathan Livingston non è affatto un gabbiano comune. È un precursore della libertà. La libertà di poter scegliere liberamente la propria vita, di realizzare i propri desideri. Imparare. Scoprire. Progredire.
Se per tutti i gabbiani il volo non è altro che lo strumento per procurarsi il cibo, per Jon il volo è la vita stessa. È la sua passione. Più importante anche del cibo.

«Chiang, questo mondo non è il paradiso, vero?»
L’Anziano sorrise nella luce lunare. «Stai imparando altre cose, Gabbiano Jonathan» disse.
«Be’, cosa succede da adesso in poi? Dove andremo? Il paradiso esiste o no?»
«No, Jonathan, non esiste. Il paradiso non è un luogo, e non è un tempo. Il paradiso è essere perfetti.» Tacque per un attimo.
«Tu voli molto veloce, vero?»
«Io… io amo molto la velocità» disse Jonathan, stupito ma fiero che l’Anziano se ne fosse accorto.
«Raggiungerai il paradiso, Jonathan, nel momento in cui raggiungerai la velocità perfetta. Che non vuol dire volare a mille miglia all’ora, o a un milione, o alla velocità della luce. Perché qualunque numero è un limite, e la perfezione non ha limiti. La velocità perfetta, figliolo, è esserci.»

Certo, la grande passione che ha Jon per il volo e la sua voglia di perfezionarsi non è altro che una metafora della vita, e l’autore avrebbe potuto scrivere la storia di un uomo, che so di un atleta che supera i propri limiti. Bach stesso dichiarò che le vicende sono ispirate a un pilota imbattile americano degli anni venti. Cioè voglio dire non si è mai visto un gabbiano che parla e aspira alla perfezione. Un gabbiano che si realizza come un Buddha moderno. Ma è proprio questo il capolavoro di Richard Bach. Scegliendo come protagonista un gabbiano e non un uomo ha elevato il suo romanzo a fiaba.
E si sa: nulla arriva dritto al cuore come una favola.

Vi ho detto della mia debolezza per le citazioni. Invece della colonna sonora questa volta concludo l’articolo scegliendo e dedicando a Jon queste parole di Khalil Gibran:

Tutte le cose sono belle in sé,
e più belle ancora diventano quando l’uomo le apprende.
La conoscenza è vita con le ali.

 

 

 

 

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Sono nato a Modena nel 1964 e vivo in un paese che è parte dell’Unione dei Comuni del Distretto Ceramico. Da 35 anni faccio piastrelle. Mi occupo di ricerca. Crescere, crescere, crescere: non esistono altri obbiettivi. Ogni anno è una sfida. Sposato con due figli, da quattro anni scrivo su questo blog. Ma fin dal primo articolo ho capito che recensire un libro, un film o una canzone non è che un pretesto per raccontarmi: pensieri, passioni, desideri. Ricordi. Il vero scopo è fermare il tempo. Trattenere il più possibile istanti di felicità.

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