Ve lo dico subito: questo è il mio ultimo articolo.
Chi mi conosce per davvero avrebbe potuto intuirlo dal titolo che ho scelto.
Ma poi, a pensarci bene, chi mai avrebbe dovuto incuriosirsi al punto da mettersi lì a pensare a questa cosa?
Ma a chi gliene importa!
Ma chissenefrega!
Sì, sono proprio ingenuo: nemmeno mia moglie, i miei figli, il mio migliore amico la mia gatta o il mio fan più accanito…
Comunque. È il centounesimo articolo che scrivo. Ed è fin troppo esplicito il richiamo a 101 storie Zen. Più che esplicito è voluto. È un libro che porto nel cuore e che nel mio blog è andato via come il pane: tre storie, tre articoli e davvero non so dire quante altre storielle ho nominato, commentato. Dovrei rileggere ogni articolo che ho scritto, segnarle.
Fa niente.
101 volte nelmiopiccolo.
Ah se solo fossi stato un veggente, scegliendolo come nome del Blog stesso. Sarebbe stato perfetto.
Blog che non sarebbe mai nato se non fosse stato per mio figlio, se solo Francesco non avesse insistito.
«In questi anni hai raccolto così tanto materiale che non ti costerà tanta fatica scrivere gli articoli».
In effetti è da una quindicina di anni che tengo una rubrica sui libri che leggo. Niente di speciale: titolo, autore, editore, frasi che spaccano.
Un modo per non perdere le tante cose belle che leggo.
È così avvilente stare delle ore a pensare: Ma come si intitola? Chi è l’autore? Com’è quella frase che “spacca”?
Ma prendere due appunti è una cosa ben diversa che aprire un Blog e fin da subito obiettai a Francesco che no! Non sarebbe stato per niente semplice. Non avrei mai aperto un Blog solo per consigliare un libro, solo per trascrivere una bella frase. Dal primo articolo che scrissi – Toccato: da tutto ciò che mi circonda, del 30 luglio 2017 – capii che mi ero messo in un bel casino. Mi fu chiaro che recensire un libro, un film o una canzone non era che un pretesto. Il vero scopo è sempre stato raccontarmi: i miei pensieri, le mie passioni, i miei desideri.
Ciascuno di voi ha soltanto una storia. Scrivete la vostra unica storia in molti modi diversi. Non state mai a preoccuparvi, per la storia. Tanto ne avete una sola.
da Mi chiamo Lucy Barton di Elizabeth Strout
La Strout è una scrittrice e si riferisce alla sua arte. Ma a pensarci bene non funziona solo nei romanzi. Non funziona solo per gli artisti. A pensarci bene è una cosa che facciamo tutti noi quotidianamente. Abbiamo un bisogno di parlare di noi stessi che sanguina, che non ci accorgiamo nemmeno più di ripetere sempre le stesse cose.
Quante volte ci dicono guarda che me l’hai già detto. Quante volte siamo noi a ripeterlo agli altri.
Adesso capisco meglio quegli autori che si bloccano e smettono di pubblicare.
Semplicemente non sanno più cosa dire.
Semplicemente si esauriscono.
Semplicemente smettono per evitare di ripetere sempre la stessa storia.
Che chissà nelmiopiccolo quante volte mi sono ripetuto?
Quante volte mi sono reso ridicolo senza nemmeno accorgermene?
Una tazza di tè
Nan-in, un maestro giapponese dell’era Meiji (1868-1912), ricevette la visita di un professore universitario che era andato da lui per interrogarlo sullo Zen.
Nan-in servì il tè. Colmò la tazza del suo ospite, e poi continuò a versare.
Il professore guardò traboccare il tè, poi non riuscì più a contenersi. «È ricolma. Non ce n’entra più!».
«Come questa tazza,» disse Nan-in «tu sei ricolmo delle tue opinioni e congetture. Come posso spiegarti lo Zen, se prima non vuoti la tua tazza?».
Eh già, non poteva mancare una storia zen.
Perché è tra le mie preferite.
Perché cade a fagiolo per questo articolo, per il messaggio che vorrei trasmettere.
Perché non ho resistito al fatto che è la numero 1 delle 101 Storie Zen.
E devo dire che fra i tre perché è proprio quest’ultimo che più degli altri ha prevalso.
Mi piaceva troppo questa cosa: la prima storiella nel centounesimo articolo, nell’ultimo articolo.
È un po’ come chiudere un cerchio.
Oppure sono semplicemente peso e ho dato i numeri.
Un altro difetto che mi rimproverano, oltre all’essere ripetitivo.
Concludo con un’ultima citazione e con la colonna sonora dell’articolo.
Sono diventate una sorta di marchio di fabbrica di questo mio lavoro.
«Quando qualcuno cerca,» rispose Siddharta «allora accade facilmente che il suo occhio perda la capacità di vedere ogni altra cosa, fuori di quella che cerca, e che egli non riesca a trovar nulla, non possa assorbir nulla in sé, perché pensa sempre unicamente a ciò che cerca, perché ha uno scopo, perché è posseduto dal suo scopo. Cercare significa: avere uno scopo. Ma trovare significa: essere libero, restare aperto, non aver scopo.
da Siddharta di Hermann Hesse
Liberarsi dunque,
lasciare andare,
svuotarsi.
Tutto torna.
E chissà che non ci riesca pure io.
Allora sì che avrei nuove cose da raccontare.
La canzone che ho scelto è di Gino Paoli.
Ti lascio una canzone
Finito il tempo di cantare insieme
si chiude qui la pagina in comune
il mondo si è fermato io ora scendo qui
prosegui tu, ma non ti mando sola…
Ti lascio una canzone
per coprirti se avrai freddo
ti lascio una canzone da mangiare se avrai fame
ti lascio una canzone da bere se avrai sete
ti lascio una canzone da cantare…
Una canzone che tu potrai cantare a chi
a chi tu amerai dopo di me
a chi tu amerai dopo di me…
Ti lascio una canzone da indossare sopra il cuore
ti lascio una canzone da sognare quando hai sonno
ti lascio una canzone per farti compagnia
ti lascio una canzone da cantare…
Una canzone che tu potrai cantare a chi
a chi tu amerai dopo di me
a chi non amerai senza di me…
La dedico a mia figlia Eleonora.
Cliccando QUI, potete sentirla.


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