Cinquant’anni fa (1 luglio 1972) usciva Radici, il quarto Album di Francesco Guccini.
Sette canzoni, sette capolavori.
- Radici
Dedicata a Pàvana, il paese sull’Appennino tosco-emiliano originario dei nonni paterni, dove Francesco ha vissuto i primi cinque anni di vita e ritornava durante le vacanze estive. Pàvana, che ha poi scelto, definitivamente, per viverci.
La casa sul confine dei ricordi,
la stessa sempre, come tu la sai
e tu ricerchi là le tue radici
se vuoi capire l’anima che hai,
se vuoi capire l’anima che hai…
- La locomotiva
La più bella ballata contro le ingiustizie sociali di sempre. La canzone emblema del Sessantotto.
Non so che viso avesse, neppure come si chiamava,
con che voce parlasse, con quale voce poi cantava,
quanti anni avesse visto allora, di che colore i suoi capelli,
ma nella fantasia ho l’immagine sua:
gli eroi son tutti giovani e belli,gli eroi son tutti giovani e belli,
gli eroi son tutti giovani e belli…
- Piccola Città
Una bellissima ballata nostalgica, dedicata a Modena. La sua città natale, lasciata dopo solo tre mesi di vita, per poi tornarci a cinque anni e abbandonare definitivamente a vent’anni. Modena: “bastardo posto”, che non ha mai amato fino in fondo. Troppo forte il ricordo di Pàvana. Le allettanti possibilità di Bologna: ”per me provinciale Parigi minore”.
Piccola città, vetrate viola,
primi giorni della scuola, la parola ha il mesto odore di religione;
vecchie suore nere che con fede
in quelle sere avete dato a noi il senso di peccato e di espiazione:
gli occhi guardavano voi, ma sognavan gli eroi, le armi e la bilia,
correva la fantasia verso la prateria, fra la via Emilia e il West…
- Incontro
Ancora Modena (dai! Vorrà dire che qualcosina di bello gliel’ha lasciata, questa nostra piccola città…) a far da sfondo a questo incontro fra Francesco e una sua amica, dieci anni dopo.
A mio parere è una delle più belle di sempre.
Dolce, malinconica, poetica.
Perfetta.
E correndo mi incontrò lungo le scale, quasi nulla mi sembrò cambiato in lei,
la tristezza poi ci avvolse come miele per il tempo scivolato su noi due.
Il sole che calava già rosseggiava la città
già nostra e ora straniera e incredibile e fredda:
come un istante deja-vu, ombra della gioventù, ci circondava la nebbia…
Auto ferme ci guardavano in silenzio, vecchi muri proponevan nuovi eroi,
dieci anni da narrare l’uno all’altro, ma le frasi rimanevan dentro in noi:
“cosa fai ora? Ti ricordi? Eran belli i nostri tempi,
ti ho scritto è un anno, mi han detto che eri ancor via.
E poi la cena a casa sua, la mia nuova cortesia, stoviglie color nostalgia…
E le frasi, quasi fossimo due vecchi, rincorrevan solo il tempo dietro a noi,
per la prima volta vidi quegli specchi, capii i quadri, i soprammobili ed i suoi.
I nostri miti morti ormai, la scoperta di Hemingway,
il sentirsi nuovi, le cose sognate e ora viste:
la mia America e la sua diventate nella via la nostra città tanto triste…
Carte e vento volan via nella stazione, freddo e luci accesi forse per noi lì
ed infine, in breve, la sua situazione uguale quasi a tanti nostri films:
come in un libro scritto male, lui s’era ucciso per Natale,
ma il triste racconto sembrava assorbito dal buio:
povera amica che narravi dieci anni in poche frasi ed io i miei in un solo saluto…
E pensavo dondolato dal vagone
“cara amica il tempo prende, il tempo dà…
noi corriamo sempre in una direzione, ma qual sia e che senso abbia chi lo sa…
restano i sogni senza tempo, le impressioni di un momento,
le luci nel buio di case intraviste da un treno:
siamo qualcosa che non resta, frasi vuote nella testa e il cuore di simboli pieno…”
- Canzone dei dodici mesi
Un bellissimo tributo alla natura. Lo scorrere del tempo e delle stagioni, in un eterno schema circolare.
Giugno, che sei maturità dell’anno, di te ringrazio Dio:
in un tuo giorno, sotto al sole caldo, ci sono nato io, ci sono nato io…
E con le messi che hai fra le tue mani ci porti il tuo tesoro,
con le tue spighe doni all’uomo il pane, alle femmine l’oro, alle femmine l’oro…
O giorni, o mesi che andate sempre via, sempre simile a voi è questa vita mia.
Diverso tutti gli anni, ma tutti gli anni uguale,
la mano di tarocchi che non sai mai giocare, che non sai mai giocare…
- Canzone della bambina portoghese
L’essere umano di fronte alla potenza e all’immensità della natura. Francesco sceglie come protagonista un’adolescente. E sarà proprio una bambina ad avvicinarsi, più di tutti e per un istante appena, all’inconoscibile.
Al caldo del sole, al mare scendeva la bambina portoghese,
non c’eran parole, rumori soltanto come voci sorprese,
il mare soltanto e il suo primo bikini amaranto,
le cose più belle e la gioia del caldo alla pelle…
Gli amici vicino sembravan sommersi dalla voce del mare…
O sogni o visioni, qualcosa la prese e si mise a pensare,
sentì che era un punto al limite di un continente,
sentì che era un niente, l’Atlantico immenso di fronte…
E in questo sentiva qualcosa di grande che non riusciva a capire,
che non poteva intuire,
che avrebbe spiegato se avesse capito lei, quell’oceano infinito…
ma il caldo l’avvolse, si sentì svanire e si mise a dormire e fu solo del sole,
come di mani future; restaron soltanto il mare e un bikini amaranto…
E poi, e poi, se ti scopri a ricordare,
ti accorgerai che non te ne importa niente
e capirai che una sera o una stagione son come lampi,
luci accese e dopo spente…
- Il vecchio e il bambino
Mai come ora così attuale, parla dell’olocausto nucleare.
E il vecchio diceva, guardando lontano:
“Immagina questo coperto di grano,
immagina i frutti e immagina i fiori e pensa alle voci e pensa ai colori
e in questa pianura, fin dove si perde, crescevano gli alberi e tutto era verde,
cadeva la pioggia, segnavano i soli
il ritmo dell’ uomo e delle stagioni”.
Il bimbo ristette, lo sguardo era triste,
e gli occhi guardavano cose mai viste
e poi disse al vecchio con voce sognante:
“Mi piaccion le fiabe, raccontane altre!”


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